“Divorziare con stile” si può, parola di Diego De Silva
È una serata d’agosto, alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto Diego De Silva presenta il suo romanzo “Divorziare con stile”. Al suo fianco Alessandro Orsini, sociologo e docente universitario che, moderando l’incontro, ha definito i suoi libri “romanzi che fanno ridere e riflettere”, perché in fondo non c’è niente di umoristico che non abbia in sé anche qualcosa di tragico. L’incontro ha stimolato non poche riflessioni su tematiche delicate come l’amore e le relazioni di coppia.
“Quando si è giovani sembra che il tempo sia
infinito, mentre alla mia età è diventato un’occasione da spendere”, ha
dichiarato lo scrittore sostenendo l’importanza di darsi la possibilità di una
nuova vita con un nuovo amore quando non si è più appagati. “Ancora oggi – dai che
è così – la gente ha paura di separarsi (benché il desiderio di divorziare sia
molto più diffuso di quello di contrarre matrimonio): tant’è che impiega anni a
soppesare la decisione, a valutare i pro e i contro, rimandare o sospendere
mentre la vita passa e i figli crescono. Come se poi ci fosse sempre tempo per
farla finita, e gli anni sprecati a titubare fossero recuperabili, invece che
irrimediabilmente persi (incredibile quanto tutti siamo così stupidamente illusi
che la nostra vita durerà a lungo)”. Questa è una delle pagine del ricco
romanzo in cui si affronta il tema della temuta e al tempo stesso agognata separazione
che nel contempo rimanda anche a un altro irresistibile romanzo che è “Terapia
di coppia per amanti”, dal quale si è tratta ispirazione per un film in uscita
a ottobre prossimo.
Dopo la presentazione la curiosità e il desiderio di essere
a tu per tu in una conversazione con lo scrittore diventano sempre più forti.
Per rompere il ghiaccio esordisco dicendo: finalmente “You and me alone” (chi
ha letto Figuracce sa che mi riferisco ironicamente a un suo racconto). Per Ken Follett scrivere è il primo
pensiero del mattino, per Nathan Englander un modo per fare ordine nel caos,
per Umberto Eco un puro piacere. Per Lei cosa rappresenta? Direi un po’ tutte
e tre le cose, nel senso che è una sorta di riflesso della mente. Generalmente quando
rifletto cerco di comporre i miei pensieri dando loro una forma che già
potrebbe essere essenzialmente una forma pronta per essere scritta, insieme a
questo è anche un modo per capire come la penso, nel senso che finché non
trascrivo un pensiero che ho elaborato è come se non fosse sufficientemente
chiaro. Quindi si definisce uno
scrittore istintivo o razionale? Diciamo che uso il raziocinio come
modalità di sistemazione di un gesto istintivo. Non butterei mai una frase lì
sul foglio senza averla prima elaborata mentalmente nel giusto modo per essere
trascritta. Anche quando ero ragazzo, a scuola, non facevo mai la brutta copia
di un tema. Non concepisco l’idea di poter scrivere una frase in maniera raffazzonata
e poi sistemarla, devo vederla in una forma già tendenzialmente definitiva. I suoi libri riescono a dare libero sfogo
all’immaginazione grazie anche al fatto che non ci sono descrizioni pedanti né degli
ambienti né dei personaggi. Una scelta intenzionale? Sì, lo è nel senso che
preferisco evocare piuttosto che descrivere, mi piace l’idea che quando un
lettore legge una mia pagina costruisca da sé la scenografia dei luoghi e persino
l’immagine dei volti, i lineamenti dei personaggi, non mi va di indirizzare l’immaginazione
in un modo preciso, con delle caratteristiche predefinite. Non sono un grande
fan della descrizione e quando leggo un
autore che mi dice troppe cose è come se costringesse la mia fantasia a
dirigersi verso binari predefiniti. Vincenzo
Malinconico, protagonista di quattro dei Suoi romanzi, è un personaggio
precario nel lavoro, negli affetti, nella vita, eppure ha una grande dignità, è
molto profondo e ricco di valori e con il suo umorismo conquista il lettore. Quanto
c’è di autobiografico? In genere rispondo “solo le parti migliori”, in
realtà perché ho un carattere simile al suo, trovo sempre che ci sia una
prospettiva un po’ buffa attraverso la quale guardare il mondo e mi piace
ridicolizzare le situazioni e le persone che osservo, mi sento parte in causa, corresponsabile
di quanto accade intorno, intendo dal punto di vista narrativo, e Malinconico rispetta questo patto
con il lettore che sembra dire “ridiamo insieme, ti racconto come sono ridicole
le cose e come sono ridicolo io innanzitutto”. Last but not least (frase ricorrente nei suoi libri), “divorziare con
stile” è possibile? Secondo me sì, è possibile in generale comportarsi con
stile, significa essenzialmente avere un potere, ma non farne uso. Intendo dire
quando ci si trova in una circostanza dalla quale si può trarre vantaggio a
discapito di qualcuno, ma si rinuncia a farlo. Questo è comportarsi con stile, rinunciare
consapevolmente a un vantaggio, essere certo che se rimanessi potresti
prenderti tutto l’utile che ne deriva, ma alzi i tacchi e te ne vai, lasciando
la scena così com’è…
"è la sindrome del lieto fine, che poi
rovina un sacco di belle storie. Perché tante volte la vita ti dimostra che una
storia non è bella perché finisce bene, ma proprio perché finisce".